Correre è da malati, lo sport fa male

Correre è da malati

quando la fatica diventa un ossessione

E’ un po’ lungo vero, ma se non hai tempo perché sei sempre di fretta e devi andare a correre, forse è il caso di leggerlo, ma se arrivate alla fine, magari vi aspetta una sorpresa

 

Correre è da malati ma nessuno me ne voglia, correre fa bene, come fa bene la maggior parte delle cose che conosciamo a patto di somministrarcele nelle giuste dosi.

Certo siamo nati per correre, ma per soddisfare una necessità, non per fare la gara a chi fa più km o chi li fa in minor tempo.

L’errore madornale è pensare, osservando persone geneticamente dotate, che tutti possano farlo, che sia facile farlo, che almeno si dimagrisce, che cosa vuoi che ci voglia a correre… mi metto le scarpe e via.

Del resto non mi sconvolgono le scelte personali, ma che la malattia venga spacciata per benessere questo si è da impedirlo, ed ho un solo modo, la divulgazione della conoscenza.

(ovviamente non mia, io faccio ginnastica, la conoscenza di studi internazionali)

IL TITOLO? beh provocatorio, ma serve per analizzare una “patologia” che la psicologia dello sport conosce bene e che è fin troppo evidente in molte persone.

Tra l’altro questo approccio “forsennato” allo sport, al bisogno di correre, questo desiderio di rivalsa, di superamento dei propri limiti, di condizionamento fino alla malattia.

Tutto questo è esso stesso non solo contrario al principio di sport, ma uno dei principali motivi per i quali, molte persone (in Italia si stima almeno l’80% della popolazione) non ne vuole sapere di fare sport…

COSA DICE LA SCIENZA?

Allenarsi, correre, allenarsi. Spesso la corsa può diventare un’ossessione, la priorità nella giornata, anche prima del lavoro, trasformandosi da hobby in un’attività che condiziona la vita affettiva e professionale.

Un “problema psicologico” sempre più diffuso tra i master, (persone che iniziano a fare sport dopo i 30 anni) specialmente quelli che si avvicinano al mondo della corsa in età adulta.

Tutto questo è difficile da diagnosticare e investigare perché lo stesso concetto di dipendenza dallo sport in genere è di difficile classificazione e misurazione.


“Non vi sono studi epidemiologici chiari sulla dipendenza da sport, la cosiddetta exercise addiction, nel nostro Paese – spiega Cristiana Conti, psicoterapeuta e psicologa dello sport – .

La maggior parte delle ricerche si sono concentrate sui benefici correlati allo sport, evidenziando come sia in grado di promuovere forma fisica e mentale ed essere un mezzo efficace per gestire lo stress.

Tuttavia esistono casi in cui l’esercizio fisico può produrre effetti negativi.

Anche se un po’ datata, è del 1979, una delle definizioni che descrive bene il concetto di dipendenza da sport è quella di Morgan: un tipo di attività fisica estrema, sia in frequenza sia in durata, accompagnata da un’irresistibile coazione alla prestazione e da possibili crisi di astinenza”.

In tale ottica, la dipendenza dallo sport è stata presentata nei termini della cosiddetta overtraining sindrome” , ossia come quella condizione fisiologica di squilibrio che deriva da sforzi fisici intensi e troppo ravvicinati che non permettono all’organismo un recupero energetico e neurobiologico e quindi la possibilità di smaltire lo sforzo, ricaricandosi a livello fisico e psicologico (Cascua S., 2004).

Un punto di vista simile è stato quello che ha preso in considerazione misure esclusivamente comportamentali, definendo ad esempio

“corridori dipendenti” tutti coloro che seguivano programmi di corsa per cinque giorni a settimana e per un minimo di quindici ore settimanali, adottando un modello di diagnosi “a cronometro” (Monaco M., 2006).

Ma l’exercise dependence o exercise addiction, non è sempre un problema quantitativo e certamente non è soltanto un problema di abuso di sport.

Non necessariamente comporta over-training, perché non sempre la costanza nella pratica sportiva coincide con un’attività estenuante, e soprattutto si connota per alcune caratteristiche psicologiche distintive.

La frequenza dell’allenamento non rappresenta un buon metro diagnostico dal momento che non fornisce alcun dato sulle importanti differenze motivazionali, attitudinali ed emozionali che hanno permesso di distinguere tre tipologie di persone che si rapportano in modo non equilibrato, talvolta maniacale e intenso, all’attività sportiva (De La Torre, 1995).


Una prima categoria di “maniaci sportivi” è rappresentata dai cosiddetti “sani nevrotici”, ossia coloro i quali traggono un positivo miglioramento dalla pratica sportiva che è accompagnata da un senso di benessere, di realizzazione e di successo.


Altre persone appartengono al gruppo degli “sportivi compulsivi”, in cui l’attività fisica è un modo come un altro per sostenere una precisa routine che conferisce un senso di controllo e di superiorità morale.


Infine, ci sono i “dipendenti dallo sport” in cui l’attività fisica ha una funzione di regolatore dell’umore e di uno squilibrio interno e in cui essa finisce per dominare in modo crescente l’intera vita.


È solo in quest’ultima condizione che si può parlare di “dipendenza sportiva” definita primaria se ritenuta indipendente da altre patologie, oppure secondaria, quando è associata a sintomi di sottostanti disturbi alimentari, in cui l’esercizio fisico gioca un ruolo fondamentale nel tentativo di controllo del peso e dell’immagine corporea.

TRATTI CARATTERISTICI DEI DIPENDENTI DA SPORT

Recenti studi (Bomber D., Cockerill I.M., Rodgers S., Carroll D., 2003) hanno consentito di individuare le caratteristiche psicologiche principali che connotano la dipendenza dallo sport, grazie all’analisi di narrazioni di atleti con tale problematica.

Tali risultati integrano e confermano i criteri diagnostici tradizionali validi per le dipendenze secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.


Più precisamente, possono essere isolate quattro dimensioni generali che rappresentano una spia della dipendenza dall’esercizio fisico

IL RAPPORTO TRA PATOLOGIE ALIMENTARI ED ESERCIZIO FISICO

Le anoressiche non solo sono vittime dell’ossessione attuale per le diete, ma in percentuale significativa finiscono per cacciarsi in modelli compulsivi di esercizio fisico.

Soprattutto la scelta ricade tra gli sport di resistenza o bodybuilding.

La cultura del tenersi in forma è conforme ai bisogni dell’anoressica, soprattutto alla sua ricerca di un senso di padronanza interiore mediante una dura disciplina fisica, così come al suo profondo interesse per l’aspetto fisico.

In effetti, nel quadro culturale complessivo, la pratica fisica, fra i suoi altri scopi, è uno degli strumenti, fra i più efficaci, per la lotta contro il grasso.

Il rapporto tra esercizio fisico ed anoressia risulta particolarmente evidente considerando la prevalenza elevata di patologie collegate al peso e alla forma corporea tra i giovani atleti, un problema al centro di un’attenzione crescente nella letteratura relativa alla medicina dello sport.

Spesso si richiede ai giovani atleti di mantenere una percentuale di grasso corporeo molto inferiore ai valori normali per l’età, il che, unitamente alle forti pressioni degli allenatori e dei genitori e alle esigenze della competizione stessa , può condurre i soggetti più vulnerabili direttamente all’anoressia e alla bulimia.

In effetti, esaminando un gran numero di atleti universitari di alto livello, risulta che una percentuale impressionante di essi ammette di ricorrere alle cosiddette “strategie patogene di controllo del peso” : digiuno prolungato, vomito provocato, pillole dietetiche, lassativi e diuretici.

Queste pratiche, benché diffuse in tutti gli sport, si riscontrano soprattutto in quelle attività che richiedono controllo del peso e / o della forma del corpo; ad esempio: la ginnastica, il pattinaggio artistico e nella lotta, il bodybuilding.

Benché siano disponibili pochi studi epidemiologici sistematici, per i medici che hanno in cura pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione.

Risulta evidente che i lottatori sono soggetti ad alto rischio per la bulimia e l’anoressia; inoltre, è interessante notare che nelle scuole superiori e nell’università, si tratta di una popolazione esclusivamente maschile.

La corsa, che in un certo senso ha aperto la strada alla moda del “fitness”, costituendone la principale attività , sembra avere una particolare affinità con l’anoressia: il rapporto risulta evidente se si considera l’attrazione che esercita sulle anoressiche.

Si tratta di una attività che richiede disciplina e favorisce il senso di padronanza di sé, suscitando una sensazione di superamento dei limiti fisici, ma che per alcuni diviene divorante e coattiva, fino al punto da distogliere l’interesse del soggetto da altri scopi, in particolare dalle relazioni interpersonali.

Come nel caso dell’anoressia, a un individuo che sente il mondo altrimenti intricato e “incontrollabile” la corsa dà un senso di potenza, addirittura di perfezione per mezzo della disciplina fisica.

Il famoso “orgasmo del corridore”, probabilmente causato dall’aumento del livello delle endorfine in circolo, è evidentemente simile all’ “esaltazione da digiuno”, sperimentata dall’anoressica e che in definitiva potrebbe avere le stesse basi di natura psicologica e biologica.

Sia l’anoressica sia il corridore sono alla ricerca della perfezione assoluta attraverso la negazione di sé: un obbiettivo narcisistico conseguito mediante una sorta di ascetismo eroico.

Nel mondo del balletto le pressioni ad acquisire la snellezza sono molto forti.

Si tratta di un requisito che dipende dai modelli estetici attualmente imperanti in questa forma d’arte: il ballerino deve tracciare nello spazio un contorno dinamico netto, quindi il minimo segno di adiposità è considerato un grave difetto.

Ben poche ballerine sviluppano il corpo di una donna adulta: rimangono magre di fianchi e di seno; in effetti esse sacrificano ogni parte del corpo che procuri soddisfazione personale, per curare soltanto ciò che permette la soddisfazione del pubblico: struttura ossea e nervosa che consente la propulsione e il librarsi aereo.

In una ricerca estesa a circa un quarto delle ballerine del Nord America e dell’ Europa occidentale, un buon 15% delle americane il 23% delle europee occidentali intervistate ha rivelato di aver sofferto di anoressia nervosa, mentre il 19% delle americane e il 29% delle europee di bulimia.

PRESSIONI PER RIDURRE IL GRASSO E L’OBESITÀ’ NEGLI ATLETI

Gli atleti e gli allenatori , riconoscono , l’importanza nell’ambito della competizione di massimizzare la forza, la resistenza e la velocità rispetto al peso corporeo.

Questo obbiettivo si raggiunge, riducendo il grasso corporeo a un livello che garantisca, comunque, un alto livello di energia disponibile.

Uno studio ha rilevato che tra ragazzi bianchi, di età compresa tra i 15 e i 16 anni , la percentuale di grasso era intorno al 14 – 15%; nei corridori e nei lottatori era tra i 5 e il 7% e in ragazze delle scuole medie superiori tra il 20 e il 22%.

Ragazze che praticano sport a livello competitivo, come: la ginnastica, la corsa, lo sci di fondo, la danza e il pattinaggio artistico sono spesso costrette a ridurre a meno del 10% il grasso corporeo.

Nelle competizioni con categorie a peso, gli atleti con massa muscolare maggiore in rapporto al proprio peso corporeo, possono avere un vantaggio competitivo in termini di forza e resistenza.

Negli sport di resistenza, il grasso oltre un livello fisiologico è uno svantaggio, limita la velocità e aumenta la fatica.

Questa avversione nei confronti del grasso può essere evidenziata dagli allenatori, dai compagni di squadra e dei genitori che diventano, ulteriore fonte di stress, in quanto, prendono il controllo assoluto sulle prestazioni e sul peso corporeo.

I ragazzi e le ragazze, impegnati in sport a livello agonistico, sono spaventati dal fallimento sia a livello della prestazione individuale, che a livello della prestazione all’interno della propria squadra.

La paura dominante è quella di far fallire la propria squadra.

Il giovane atleta che accetta la competizione sportiva, è molto autodisciplinato e perfezionista in relazione ai problemi riguardanti lo sport, è inoltre, cosciente dei problemi circa il sovrappeso ed è, quindi, molto vulnerabile, può facilmente sviluppare una grave avversione verso il cibo e un conseguente dimagrimento.

ATLETI CON AVVERSIONE VERSO IL CIBO

La categoria più a rischio, in questo senso, sono i maschi adolescenti o i giovani adulti, in quanto la popolazione maschile è più intensamente coinvolta nella partecipazione sportiva.

Le ragazze e i ragazzi preadolescenti, sono adesso considerati a rischio, perché più coinvolti, che nel passato, in programmi sportivi.

Come nell’anoressia nervosa, anche queste avversioni verso il cibo, sono provocate coscientemente e spontaneamente, in assenza di alcuna disfunzione organica.

Perdite giornaliere di circa ½ chilogrammo sono molto frequenti, come nell’anoressia, l’atleta coinvolto, sperimenta e tollera i “ morsi della fame”.

L’atleta sotto stress può avere reazioni strane per avere mangiato, e può, lasciarsi andare ad una alimentazione disordinata dopo la fine della gara.

Questo comportamento può essere pericoloso a causa della ritenzione idrica e del sovraccarico cardiovascolare indotto dal cloruro di sodio.

L’atleta ad alto livello, è più a rischio verso tali problematiche, è facile che sia anche uno studente brillante , tende a porsi degli obbiettivi accademici e atletici tipicamente poco realistici, rischiando facilmente di fallire.

La riduzione dell’adipe è chiaramente definita come un passo essenziale per il raggiungimento di buoni risultati atletici, e il dimagrimento diventa una sfida nella quale l’atleta si impegna per raggiungere un successo senza compromessi.

I “crampi” diventano segnali gratificanti , il cibo il nemico in contesto dove l’atleta si dedica a una vittoria con un margine di vantaggio fuori dal comune.

LO SPORT FA MALE?

Si lo dico da sempre, o meglio fa male il significato e le aspettative che le persone riversano nello sport, ma l’attività fisica e la ginnastica sono altro, sono dedicare il tempo sufficiente a pratiche di igiene corporea affinché il proprio corpo possa diventare performante nel benessere e nelle capacità multiplanari.

Capire questa differenza ed allontanarsi dai modelli “venduti” dalle industrie del fitness, dagli sponsor dello sport, dai malati mentali che riversano nelle pratiche sportive la “fenotipizzaizone” della propria malattia mascherandola da successo è il primo passo.

Lo sport non deve essere imposizione del pensiero al costo della salute del corpo, non deve essere abuso di farmaci, droga, ossessione, malattia, dolore, imposizione, altrimenti perde tutta la bellezza per cui è nato e gli sportivi diventano carne da macello ed al contempo, carnefici, di un mondo fatto di numeri e business.

Penso che quando perdiamo il senso del gusto e della bellezza stiamo perdendo l’essenza di noi, in ogni cosa.

Ma con un pensiero voglio chiudere, alla fine, tra le varie malattie, tra le varie fobie,

Grazie a:

  • Bamber D., Cockerill I.M., Rodgers S., Carroll D., 2000, “It’s exercise or nothing”: a qualitative analysis of exercise dependence. In British Journal of Sports Medicine, 34, 423-430
  • Bomber D., Cockerill I.M., Rodgers S., Carroll D., 2003, Diagnostic criteria for exercise dependence in women. In British Journal of Sports Medicine, 37, 393-400
  • Cascua S., 2004, Lo sport fa davvero bene alla salute? Quali sport scegliere: benefici e rischi, Edizioni Red, Milano.
  • Davis C., 2000, Exercise abuse. In International Journal of Sport Psychology, 31, 278-289
  • De la Torre J., 1995. Mens sana in corpore sano, or exercise abuse? Clinical consideration. In Bulletin of the Menninger Clinic, 59, 15-31.
  • Marlys Johnson, 2000, Understanding Exercise Addiction, Rosen Publishing Group
  • Franques P., Auricombe M., Piquemal E., 2003, Sensation seeking as a common factor in opioid dependent subjects and high risk sport practicing. A cross sectional study. In Drugs and Alcohol Dependence, 69: 121-26
  • M. Monaco, 2006, Sport non stop. La dipendenza dallo sport, in press
  • 1 Katz J L: “Some reflections on the nature of eating disorders: On the need for humility. Int J Eating Disord”, 1985; citato da M.Elizabeth Collins: “Education for Healthy Body Weight: Helping Adolescent Balance the Cultural Pressure for Thinnes” in Jounal of Body Health, vol. 58 n.6, august 1988; pp. 227 – 231

 

Francesco Menconi

Ciao, sono Francesco Menconi... Nella mia attività quotidiana di Health Trainer ed esperto in metodologie Antiaging & Antistress, cerco innanzitutto di far innamorare le persone del loro corpo, attraverso la comprensione di sé che passa anche attraverso il movimento, perché solo vicini al corpo è possibile trovare il vero benessere... Mi piace scrivere per condividere quel poco che so su questo miracolo chiamato corpo umano.. Ho scritto 4 libri, i più importanti: "Ama il corpo tuo come te stesso, vivi circadiano" che ha venduto oltre 4800 copie ed il mio nuovo libro uscito a Dicembre 2021 "Accidia, dall'esistere, all'essere" Se ti va, scrivimi i tuoi pensieri lasciandomi un tuo commento...

2 thoughts on “Correre è da malati, lo sport fa male

  1. Serena

    “sia l’anoressica sia il corridore sono alla ricerca della perfezione assoluta attraverso la negazione di sé: un obbiettivo narcisistico conseguito mediante una sorta di ascetismo eroico.”
    Comprendere la fonte di questo desiderio di distruggersi.. di ridursi.. fino a scomparire… di dominare la propria distruzione… per rispondere a qualcuno o a qualcosa che stavolta siamo a comandare
    e non loro… :” stavolta mi distruggo io perche a te non lo permettero piu”…
    Quanto forte è stato quel dolore?
    Bravo Francesco, perché i tuoi contributi possono aiutare nel ritirnare ad amarsi e ad amare la propria vita. Ciao

    #
    29 Maggio 2017 at 23:28 Reply
    • Francesco Menconi

      Grazie mille, avere un tuo commento a questo articolo, ed il tuo supporto professionale da psicologa, è davvero un piacere…

      #
      28 Luglio 2017 at 15:20 Reply

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